martedì 14 settembre 2010

"Lo faccio per il tuo bene!"

Ho visto di recente una pubblicità che invitava a sterilizzare cani e gatti, come gesto d’amore nei loro confronti e mi sono ricordata tutte le mie perplessità quando ho deciso di farlo per i miei gatti.
Presi la decisione dopo tante discussioni con il veterinario: “Un gatto che vive all’aperto vivrà al massimo cinque anni, un gatto che vive in casa vivrà almeno il doppio di anni!” Ma per tenerlo in casa un gatto, maschio o femmina che sia, è opportuno sterilizzarlo, sia per sfuggire al dramma di dar via i cuccioli, sia per evitar loro la sofferenza di non poter accoppiarsi.
E così toccò prima a Luna, poi ai tre cuccioli, prima ancora che raggiungessero la loro maturità sessuale, poi a Maia.
“Lo faccio davvero per il loro bene?” Mi chiedevo, valutando i pro e i contro della mia decisione.
È meglio averli sempre chiusi in casa, lontani dal pericolo di una morte violenta, investiti da un’auto, privi di rapporti con tutti gli altri gatti per evitare malattie o lotte furibonde; almeno vivranno una vita tranquilla, al riparo da ogni possibile difficoltà.
Non sapranno mai che significa camminare in un prato, annusare l’erba, giocare con le farfalle, incontrare altri loro simili, ripararsi dalla pioggia. Non li sto rendendo dei bei giocattoli per me, che li avrò così sempre a portata del mio desiderio di accarezzarli e di avere la loro attenzione?
Ricordo una lite con mia madre, tantissimi anni fa, quando ancora vivevo in casa con lei. Ogni volta che opponeva un rifiuto alla mia richiesta di fare qualcosa, mi sottolineava che lo faceva “per il mio bene”. Una volta decisi di farle notare che non era per il mio bene che m’impediva di uscire con gli amici o di far altro, ma solo ed unicamente per soddisfare il suo bisogno di star tranquilla, per evitarsi ansie. Non era il “mio” bene che lei perseguiva, bensì il “suo”!
Fu una lite che mi fece molto male e mi rimase dentro, sempre, tanto che, diventata mamma, non ho mai detto questa frase a mio figlio, perché l’ho sempre ritenuta molto ipocrita. 
Eppure intorno a me sento e vedo tanti genitori che continuano a frustrare i propri figli manifestando questo spesso falso desiderio del loro “bene”. Non voglio che tu faccia questo o quest’altro, non voglio che tu scelga questo o quest’altro, non voglio che tu frequenti quello o quell’altro, “per il tuo bene”. Se sono io a scegliere quale indirizzo di studi mio figlio deve seguire, quali amici deve frequentare, quali cose può fare, sto facendo il suo “bene” o lo sto chiudendo nella mia bella gabbia, evitandogli rischi, pericoli, delusioni, ripensamenti?
Certo, il mio ruolo di genitore è anche questo: accudirlo, dargli indicazioni e valori, evitargli pericoli; ma gli sto dando anche possibilità di scelta, possibilità di errore?
Per i miei gatti non l’ho fatto.
Non so se ho fatto il loro bene, so però che ho soddisfatto la mia tranquillità.

lunedì 16 agosto 2010

Luna, la luna e la bambina.

D’inverno il buio arriva presto; quando sta per calare la sera, chiudo le imposte e lascio fuori il mondo e il freddo. Ma non posso lasciar fuori Luna, che anche d’inverno vuole trascorrere almeno qualche ora in giardino, così, prima di chiudere tutto, la chiamo e la faccio rientrare in casa.
“Luna, vieni!” 
A volte non basta. Si nasconde sotto le siepi oppure dorme pesantemente ronfando e non ascolta il mio richiamo.
“Luna, Luna, dove sei? Perché non vieni?”
“Luna, Luna, vieni!”
E’ il mio da fare quotidiano, è il mio saluto alla sera.
Ho fatto la spesa: torno a casa con il portabagagli carico di buste e incomincio a scaricare. 
La mia vicina di casa sta uscendo con la figlioletta più piccola, di cinque o sei anni: 
“Buonasera” 
“Buonasera”
“Visto che tempo oggi?”
Mentre ci scambiamo gli stantii convenevoli, mi accorgo che la bambina sta cercando di bisbigliare qualcosa alla madre e si nasconde da me. Non capisco il suo comportamento, penso voglia attirare la mia attenzione e mi avvicino. 
“No, vai via!” Urla spaventata la bambina. “Sei una strega!”
La madre ed io ci guardiamo con aria interrogativa. Poi un po’ imbarazzata, ma solo un po’, perché capisco che sta già immaginando chissà che cosa sul mio conto, chiede alla figlia il motivo della sua paura.
“È una strega perché parla con la luna! La comanda! Tutte le sere la chiama e la luna appare nel cielo!”
“Ma no, piccola, che dici? Luna è la mia gatta! La sera la chiamo per farla rientrare in casa!”
“Mamma, mandala via, mandala via! È pazza! Crede che la luna sia la sua gatta! È una strega pazza!”

domenica 15 agosto 2010

Terzo

Perché parlare soprattutto di Maia? Sono ben cinque i miei gatti! 
Mi chiedo perché è solo Maia che m’induce a riflettere, a pensare, a ricordare. 
Neve e Batuffolo
Dolce
Li guardo ognuno con più attenzione: Batuffolo e Neve, forse per il loro lungo pelo bianco, hanno un’aria elegante, un fare fine e altezzoso, nobile come quei signori di alto lignaggio che non si confondono mai con la folla. “Sì, siamo qui, - sembrano dirmi - ma con i tuoi ricordi noi non c’entriamo niente! Sono affari tuoi!”
Dolce mi fa venire in mente quei bambini vivaci, furbi, curiosi, che non stanno mai fermi, che prima ancora di posare gli occhi hanno già messo le mani, che ti fanno le moine per avere ciò che vogliono, che sanno essere dolcissimi e impertinenti al tempo stesso. E’ instancabile, mai soddisfatto, guardare lui, anche nei suoi rari momenti di calma sorniona, mi affanna e non posso far altro che chiedermi quale marachella sta progettando, dopo tutti i danni che è stato capace di farmi. 
Luna
Luna è una cucciolotta mai cresciuta, anche se è la più “vecchia”: la sua voglia di carezze è insaziabile, se cominci ad accarezzarla dopo mezz’ora è ancora lì a chiedertene. Mi ricorda alcuni adulti chiusi nel loro mondo di adolescenti: il tempo è passato su di loro e intorno a loro, ma essi hanno sviluppato quasi un’asetticità ad ogni forma di maturazione; stanno lì, attoniti, a guardare un mondo che non li capisce e che non capiscono, in attesa che tutto torni come loro vorrebbero. Luna poi è l’unica che può stare in giardino: è così pigra, goffa e lenta nei movimenti, che non penserebbe mai a trovare una via di fuga. A lei piace contemplare: le foglie degli alberi che si muovono lentamente - non agitate dal vento, perché questo la spaventa e la fa correre a casa - le farfalle e gli uccellini che svolazzano, le tartarughe che le passano vicino: il suo mondo è a ritmi lenti, perciò, quando poi è in casa, non fa che litigare con Dolce, che si diverte ad infastidirla: i due opposti si attraggono sì, ma per litigare!
Maia: racchiude in sé una storia lontana, millenaria. Il suo sguardo non ti lascia scampo, ti costringe a chiederti il perché, sempre, di tutto. Mi sta sempre vicino, discreta, silenziosa, sembra chiedermi ogni momento che cosa sto facendo e perché, quali sono le ragioni più vere del mio, del suo, del nostro essere nel mondo. E’ la gatta che colpisce tutti quelli che vengono a casa mia: è bella, sinuosa, affabile, ma ha anche qualcosa in più, come quelle persone che hanno un fascino segreto, nascosto, che non riesci a scordare e non sai dartene un motivo.

martedì 10 agosto 2010

secondo

Due giorni fa, Batuffolo, Dolce e Neve hanno compiuto due anni!
Non potrò mai dimenticare la sera in cui sono nati!
Avevo trascorso tutto il giorno al pronto soccorso dell'ospedale in attesa che mia madre venisse ricoverata: ero esausta e affamata! Mia cognata mi aveva accompagnato a casa e si era fermata a chiacchierare un po': Maia, stranamente, anziché evitare quella che per lei era un'estranea, mi stava vicina, miagolava e m'invitava a seguirla su per le scale. Non riuscivo a capire il suo strano comportamento e, pur chiedendomene la causa, non gli diedi tanta importanza. Quando poi andai fuori dalla porta, fin davanti al cancello, per accomiatare mia cognata, la sentii miagolare disperata dal balcone: capii che non era una situazione normale, corsi in casa e, appena entrata, Maia m'invitò a seguirla fin nella stanza della lavanderia, dove, rannicchiata in una scatola sotto uno scaffale, iniziò il travaglio del parto.
Non sapevo che fare: era la prima volta per entrambe! Cominciai ad accarezzarla: era l'unica cosa che voleva da me! Ma non mi permetteva di allontanarmi né di assumere una posizione per me più comoda in quello spazio angusto. Se provavo a spostarmi un po', mi seguiva dolorante e m'implorava, con un miagolio straziante, di starle vicino. Ressi per più di un'ora, poi, quando mi accorsi che non mi impediva più di muovermi, corsi a mangiare un boccone e ad indossare il pigiama. Ritornai dopo una mezz'ora circa e trovai che il primo cucciolo era già nato e stava nascendo il secondo. Non aveva più bisogno di me: m'ignorava! Pensava solo a pulire se stessa e i suoi cuccioli, a riposare dalla fatica, ma non voleva più né me né le mie carezze. Dopo qualche minuto ancora nacque il terzo. Il primo e il terzo erano tutti bianchi, con una piccola virgola nera sulla fronte. Il secondo invece bianco e nero. Il primo era il più grosso e si rivelò subito il più capace a trovare come mangiare, l'ultimo invece era il più piccolo e non sempre riusciva a trovare dove fossero i capezzoli della madre.

mercoledì 4 agosto 2010

primo

Clack! Rumore miracoloso! All’improvviso mi ritrovo circondata da quattro, cinque gatti. Clack: è la lattina del loro cibo che sto aprendo e in un attimo, ovunque si trovino, mi compaiono intorno, affamati e in attesa spasmodica che io versi il tutto nella loro ciotola.
Ed ecco inizia il rituale del cibo: si mangia in ordine di forza! La prima in genere è Luna: è di taglia maggiore, è attaccabrighe e rivendica il suo ruolo, poi segue Neve, anche lui il più grosso dei tre giovani, mentre Batuffolo e Dolce cercano di insinuarsi e arraffare una parte di cibo; anzi Dolce allunga la zampina, afferra un boccone con le unghie e molto elegantemente se lo porta alla bocca.
Maia resta in disparte: osserva pazientemente e poi, quando tutti hanno finito, va a mangiare anche lei.
La osservo mentre guarda gli altri mangiare e attende con rassegnazione.
Mi ricorda una donna di tanti anni fa, quelle vecchie donne contadine calabresi, che vivevano in funzione della famiglia, sottomesse in tutto, anche nella soddisfazione dei loro bisogni. Ho conosciuto una di queste donne. Venni invitata a pranzo a casa sua. Eravamo tutti seduti a tavola, lei ci serviva, privilegiando sempre il marito che, tronfio del suo ruolo, sembrava non saziarsi mai, poi si sedeva in un angolino, su una seggiola più bassa, col piatto tra le mani, rubando qualche boccone tra una richiesta e l’altra. “Porta l’acqua! Versa il vino! Affetta il pane!” Non era decoroso che la moglie sedesse a tavola con il padrone-marito!
Era una donna all'apparenza dura, legnosa, ma dava tutta se stessa per i figli, li proteggeva dal marito alla stesso modo della femmina di un felino.