domenica 28 maggio 2017

Memory

Memory
 
 

Midnight
Not a sound from the pavement
Has the moon lost her memory
She is smiling alone
In the lamplight
The withered leaves collect at my feet
And the wind begins to moan

Memory
All alone in the moonlight
I can smile at the old days
Life was beautiful then
I remember the time I knew what happiness was
Let the memory live again

Every street lamp seems to beat
A fatalistic warning
Someone mutters and the street lamp gatters
And soon it will be morning

Daylight
I must wait for the sunrise
I must think of a new life
And I mustn't give in
When the dawn comes
Tonight will be a memory too
And a new day will begin

Burnt out ends of smoky days
The stale cold smell of morning
A street lamp dies, another night is over
Another day is dawning

Touch me,
It's so easy to leave me
All alone with the memory
Of my days in the sun
If you touch me,
You'll understand what happiness is
Look, a new day has begun...
Ricordo 
Mezzanotte
Nessun rumore dalla strada
La luna ha perso la memoria?
Sta sorridendo da sola
Illuminata dalla lampada
Le foglie appassite si depositano ai miei piedi
E il vento comincia a mormorare

Ricordo 
Tutta sola sotto la luce della luna
Posso sorridere ricordando i giorni passati
La vita era meravigliosa allora
Ricordo le volte che conobbi cos'era la felicità
Lascia che il ricordo viva di nuovo

Ogni lampione sembra indicare lampeggiando 
Un avviso fatalista*
Qualcuno brontola e i lampioni iniziano a spegnersi
E presto sarà mattino

Alba
Devo aspettare l'aurora
Devo pensare a un nuova vita
E non devo arrendermi
Quando l'alba arriva
Questa notte sarà anche lei un ricordo
E un nuovo giorno comincerà

Bruciati i finali dei giorni pieni di fumo
La fredda aria viziata odora di mattino
Un lampione muore, un'altra notte è finita
Un altro giorno sta nascendo

Stammi vicino
E' così facile lasciarmi
Tutta sola con il ricordo
Dei miei giorni pieni di sole
Se mi starai vicino,
Capirai cosa sia la felicità
Guarda, un nuovo giorno è cominciato... 

venerdì 23 dicembre 2016

Memory (Reprise) | Cats the Musical



Quanta tristezza ascoltando questo brano!

E' come se tutto quello che ho vissuto mi rotolasse addosso, mi scuotesse, mi facesse rimpiangere di aver vissuto!

giovedì 22 dicembre 2016

Che brutto!!!

Che brutta sensazione!
Non trovavo più questo mio blog!
Anche se è da tanto che non scrivo nulla, non vorrei perderne neanche una parola! Ma evidentemente per Google è qualcosa di inutile, perché non lo uso di frequente!
Com'è diversa la sensazione del tempo, dell'utilità, del bisogno!

venerdì 28 marzo 2014

Triste ...

La tristezza non vuole lasciarmi.
È attaccata a me come un vestito troppo stretto.
A volte mi sembra di trovare uno spiraglio per farla uscire via, ma è sempre qualcosa di troppo breve, troppo blando, per riuscire a lasciarla andare!
Sento che me la porterò con me per tutti i pochi giorni che mi restano, non riusciró a liberarmene prima di finire la mia vita!

La sensazione di separarmi da mio figlio è troppo forte, mi annienta!
È come quando lo metti al mondo, un figlio: era dentro di te, con te per tutto quel tempo, eri tu ed eri lui, ora sei tu, sola, lui è altro da te!
Deve essere così!
Ora di nuovo sai che tu sei sola, che lui è altro da te, che non sarà più con te, che la tua vista, la tua presenza, pur se amate e gradite, diventano gravose. Sei lenta, sei tarda, sei petulante, sì ti voglio bene, però ho bisogno dei miei spazi, di vivere la mia vita!
Deve essere così!
Ma vorresti che così non fosse!

venerdì 23 novembre 2012

Una memoria "bucata"

Ho trovato una lettrice sconosciuta di questo blog e ho subito pensato ad una mia ex alunna. Perciò ho cominciato a frugare nel malmesso database della mia memoria, per cercare quel nome, per collegarlo a qualche viso di adolescente che mi fissava da qualche banco durante le mie ore di lezione. 
Era ovvio che non l'avrei trovato: la mia memoria sui nomi ha sempre fatto cilecca. Ricordo che ogni anno, dopo le vacanze natalizie, dovevo ricominciare daccapo la memorizzazione dei nomi degli alunni delle nuove classi. 
Anche oggi, se mi si dice il nome di un mio ex alunno o, peggio, solo il cognome faccio fatica a ricordarlo. Anzi, dato che avevo l'abitudine di chiamarli solo per nome, a volte ne dimenticavo i cognomi, facendo anche qualche gaffe, quando si discuteva nei consigli di classe.
Non riuscivo proprio ad usare i cognomi. Il nome mi dava di più la dimensione della persona, il cognome me li rendeva quasi dei numeri. 
Nei primi anni d'insegnamento, quando erano pochi gli anni di differenza tra me e i miei alunni, chiamarli per nome era come sentirli degli amici. Ho dei bellissimi ricordi di quegli anni, infatti. Episodi che si sono stampati nella mia mente e ai quali spesso ripenso con affetto. 
Voglio ricordarne adesso solo uno.
Dopo aver terminato un'intensa lezione, con mappe disegnate alla lavagna (all'epoca nella mia scuola non c'era ancora la lavagna luminosa!), poggio il gesso e mi accorgo che in classe c'è un incredibile silenzio e tutti mi guardano con un'aria strana. Sto per esplodere: che diamine, mi sono impegnata al massimo per spiegare bene l'argomento e loro si sono tutti distratti? Ma prima che io possa aprire bocca, uno, Piero, si alza per stringermi la mano e tutta la classe esplode in un applauso. Lì per lì non capisco, penso vogliano prendermi in giro, ma poi ascolto meglio cosa mi dicono: sono entusiasti della mia lezione!

Man mano che la distanza di anni si è allungata ed io sono diventata anche mamma, chiamarli per nome era diventata un'abitudine affettuosa, non erano più quasi-amici, ma quasi-figli.
Ed eccomi lì a raccogliere le loro confidenze, le loro ansie, i loro litigi con i genitori.
Anche i loro nomi però si sono sbiaditi nella mia memoria, tranne qualcuno.
Cassandra, ad esempio. Una ragazza vivace, interessante, un po' snob, come il gruppo d'amici a cui era legata, caratterizzata da un'intensa ricerca di se stessa, di come definire il suo futuro. Ricordo che all'ultimo anno, quando ogni alunno si affanna a capire cosa fare dopo le scuole superiori, mi aveva chiesto se, a mio parere, lei era in grado di affrontare una facoltà umanistica. Le avevo dato la mia opinione, dicendole che la vedevo incline a quel tipo di studi. Qualche giorno dopo venni chiamata in presidenza. Trovai ad aspettarmi i suoi genitori ed il vice, che mi guardava con aria severa e al tempo stesso disgustata. Non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo e pensai subito che forse Cassandra si era cacciata in qualche guaio. Rimasi a parlare da sola con i genitori: la madre si sedette di fronte a me e il padre rimase in piedi, dietro di lei. La ricordo ancora la madre; apparentemente una donna fragile, ma probabilmente con un carattere molto deciso. Mi disse subito: "Mia figlia è venuta in questa scuola per studiare chimica e studierà chimica all'università. Lei non deve farle cambiare idea."
Cercai inutilmente di farle capire che avevo solo espresso la mia opinione, che non era mia intenzione "traviare" la giovane. Il risultato di questo incontro fu che io interruppi il mio rapporto di apertura nei confronti di Cassandra, alla quale non raccontai mai questo episodio. Nei mesi successivi cercai di essere con lei un'insegnante fredda e distaccata e questo non fu per me un bel risultato, ma non potevo rischiare che il suo bel rapporto con me la distogliesse dalle sue aspirazioni.
Oggi vedo le foto di Cassandra, che è tra i miei amici su Facebook, e non mi sembra proprio che abbia studiato chimica!

Ma, ritornando alla mia memoria, anche se i nomi e i cognomi delle centinaia di alunni sono volati via, non ho dimenticato i loro visi!
Anche adesso, quando ne incontro qualcuno, adulto, con figli e magari anche qualche capello bianco, ritrovo nella sua espressione, nei suoi occhi, nella sua voce, nei suoi gesti, quel ragazzo che era davanti a me per tanti giorni e tante ore, mi ricordo di ciò che faceva, del suo modo di stare a scuola. Ecco, é solo allora che la mia memoria funziona, e bene anche.

Qualche giorno fa son passata vicino ad una scuola: le finestre erano aperte e si sentiva il vociare degli alunni quando in classe sono "orfani" dell'insegnante; mi è venuto un groppo alla gola e qualche lacrima è scappata, senza che riuscissi a fermarla.

mercoledì 7 novembre 2012

mercoledì 26 settembre 2012

Una favola per Robertino

ROBI-No E ROBI-Sì


"Roby, svegliati! E' ora di andare a scuola!" Urla la mamma.
"No!" Risponde deciso Robertino, sprofondato nel suo comodo letto, tra il poster del Milan e quello di Ben 10, riprendendo a dormire tranquillamente.

Robi-no è un bambino come tanti del suo paese. Anche lui, appena nato, disse subito "no!", come i suoi compaesani. La sua mamma è una donna alta e magra, ha un lunghissimo collo  - come tutti gli altri, del resto - che le permette di tenere la testa tra le nuvole. Tutti gli abitanti del paese di Robi-no hanno la testa tra le nuvole, sono molto magri e molto alti, non hanno una casa, dormono accucciandosi per terra,  non hanno nulla da cucinare, mangiano ciò che trovano sugli alberi o le bacche dei cespugli, non lavorano, non fanno nulla, insomma, stanno solo con la testa tra le nuvole. Robi-no è ancora piccolo, ma il suo collo si allunga velocemente e presto anche lui potrà stare come gli altri con la testa nella nebbia.
Un giorno la sua mamma sentì, portato dal vento, il suono di una campanella; chiese ai suoi vicini che cosa fosse quel suono così allegro e le spiegarono che era la campanella della scuola di un paese vicino. "La scuola? Che cos'è?" chiese la mamma. "E' un posto dove vanno i bambini - le risposero - e sembra pure che si divertano!"
"Sai, Robi-no, mi piacerebbe che tu andassi a scuola!" disse subito al suo bambino.
"No!" rispose Robi-no e non se ne fece nulla.
Perchè lui avrebbe dovuto andare in questo posto chiamato scuola, che non sapeva nessuno che cosa fosse, quando tutti gli altri bambini del suo paese non ci andavano?
Non gli venne però la curiosità di sapere che cosa fosse una scuola, no, lui non era affatto curioso. Era grintoso e deciso, invece, parlava solo con chi gli piaceva e tutti gli altri li cancellava dalla sua vista, metteva loro intorno una nuvoletta e non li vedeva più: chi era brutto, chi era piccolo e basso, le ragazzine stupide e smorfiose (tutte, praticamente!), i ragazzi disabili. Per lui non dovevano esistere e, dato che non aveva armi per ucciderli (perchè nel suo paese non c'erano neanche quelle), li cancellava.

Non molto lontano dal paese di Robi-no c'è un altro piccolo paese, dove vive Robi-sì. Anche lui è un bambino come tanti del suo paese e anche lui, appena nato, disse subito "sì!", come i suoi compaesani.

Un pomeriggio Robi-sì è sprofondato in poltrona, in attesa che inizi in TV il nuovo episodio delle storie di Ben 10 e sul suo iPad sta digitando su Google Map la parola "Torino", perché vuole vedere dove si trova questa città, ma la sigla di Ben 10 lo distrae e scrive "Robino". Guarda distrattamente ciò che ha scritto e scopre, con meraviglia, che, poco distante dal suo paese, c'è il paese di Robi-no. La sua attenzione è calamitata dalla scoperta - Ben 10 può attendere! - di un paese di cui nessuno conosceva l'esistenza (ma a Google Map non si sfugge!); guarda meglio: sono solo 10 Km di distanza! Perché non andare a vedere?
Prende la sua automobilina elettrica, collega al cruscotto l'iPad che gli fa anche da navigatore e parte.
Arriva in un posto strano, con il cielo coperto da fitte nuvole. Vede strani individui, che sembrano giraffe, perché hanno il collo lunghissimo, ma non si riesce a vedere il loro viso, nascosto tra le nuvole. Si ferma per chiedere indicazioni e in quel momento vede scendere verso di lui, con un movimento roteante del collo, come fanno le giraffe, un viso di bambino.
"Scusa, - dice allora Robi-sì - è questo il paese di Robi-no?"
"No", risponde Robi-no.
"E sai dove si trova?"
"No", risponde ancora Robi-no.
"Ma - riflette ad alta voce Robi-sì - il mio navigatore dice che sono arrivato!" E, parlando indica l'iPad in macchina. Robi-no sta guardando rapito ed estasiato quelle meraviglie; Robi-sì si accorge del suo sguardo e del modo come fissa l'iPad e gli dice:
"Ti piace?"
"No", risponde Robi-no, che vorrebbe dire "sì", ma non sa pronunciare questa parolina.
Robi-sì capisce al volo e lo invita:
"Vuoi venire a fare un giro con me?"
"No", risponde Robi-no, ma aggiunge: "Aspetta che lo dico a mia madre!"
"Mamma - dice con calma - vado con un nuovo amico!" Poi, rivolgendosi a Robi-sì: "Posso portare un mio amico?"
"Sì", risponde Robi-sì e quando vede che l'amico è un bel gatto bianco e nero, aggiunge: "Sììì! Sììì!"
Poi tira fuori dalla tasca il suo nuovo iPhone 5 e chiama la madre: "Mamma, posso portare un amico a pranzo?" "Certo!" è la risposta; intanto Robi-no lo fissa sempre più meravigliato.

Salgono tutti sull'automobilina elettrica di Robi-sì e partono per il suo paese. Robi-no vede il nastro d'asfalto che la macchinina percorre con facilità e chiede: "Che cos'è questo?"
"Una strada", risponde Robi-sì.
Quando arrivano al paese, Robi-no guarda con stupore le case, le insegne dei negozi, le strade, i semafori, le luci e di ogni cosa vuol sapere il nome. Altrettanto fa quando arrivano a casa di Robi-sì.
Una volta in salotto, Robi-sì accende il televisore, per far vedere al suo amico qualche nuovo cartone e gli dice:
"Io ho sete: beviamo un bicchiere di Coca Cola?", versa la bibita in due bicchieri e ne porge uno a Robi-no. Robi-no lo guarda, prende il bicchiere, ma non sa cosa fare, poi vede che Robi-sì lo porta alla bocca e lo fa anche lui. Che pizzicore quelle bollicine, ma che buono quel liquido!
Intanto sono rincasati i genitori di Robi-sì: la madre, una donna bassa, piccolina e rotondetta, non piace a Robi-no, ma ha un sorriso così bello e accattivante quando gli dice "Ciao!" e poi gli chiede: "E' tuo questo bellissimo gatto?"che Robi-no dimentica che a lui le persone basse non piacciono!
Anche il padre di Robi-sì è una delle persone che Robi-no ama cancellare: è seduto su una sedia a rotelle, perché un incidente d'auto gli ha tolto l'uso delle gambe, però è un ingegnere informatico e lavora alla Apple, proprio alla produzione dell'iPhone: no, non si può cancellare!
Mentre chiacchierano a tavola, la madre di Robi-sì, che è una pediatra, si accorge che Robi-no, quando si avvicina al suo gatto, starnutisce, ha gli occhi che lacrimano e incomincia a grattarsi; capisce che si tratta di un'allergia e lo dice a Robi-no, che, ovviamente, non capisce nulla di tutto quel discorso. Poi gli dice: "Se verrai un'altra volta, ti darò un vaccino, così potrai giocare tranquillamente con il tuo gatto senza star male." Queste parole Robi-no le capisce ed è felice: finalmente non dovrà più star male e potrà accarezzare il suo Dolce quando vorrà!

Al suo ritorno a casa, Robi-no è confuso. Incomincia a chiedersi perché nel suo paese si vive in un modo così strano. La madre si accorge della sua confusione e nota, preoccupata, che il suo collo si va accorciando.
"Che cosa ti è successo, Robi-no? Dove sei stato?" Quindi gli porge qualche bacca per la cena.
"No - dice Robi-no - non ho fame. Ho mangiato pane e Nutella, ho bevuto la Coca e ho guardato la TV!"
La madre è sempre più preoccupata: che cosa mai sarà successo al suo figliolo, che usa parole strane che lei non conosce? Avrà messo la testa in una nube ubriaca? Troppe domande, però! Meglio tornare tra le nuvole e non pensare.

Gli incontri tra Robi-no e Robi-sì continuano e Robi-no diventa man mano più curioso, così più la sua curiosità aumenta, più il suo collo si accorcia.

Un giorno si fa coraggio e chiede al papà di Robi-sì:
"Perché noi non siamo come voi? Perché voi avete tanto e noi non abbiamo nulla?" Il papà di Robi-sì lo guarda sorridendo e risponde:
"Vorresti essere come noi?"
"Ssssì" risponde Robi-no e si meraviglia con se stesso per essere riuscito a pronunciare quella parolina, mentre si accorge che il suo collo è diventato come quello di Robi-sì.
"Allora ti daremo la nostra magia!" - dice il papà di Robi-sì - "Seguimi e ti svelerò il nostro segreto!" e porta Robi-no nel suo studio, dove ci sono tanti libri.
"Vedi, questi sono libri - dice - e qui c'è tutto il nostro sapere. Nei libri noi troviamo ciò che sapevano gli uomini che sono vissuti prima di noi e ciò che sanno quelli che vivono lontano da noi, conosciamo sempre più cose e utilizziamo queste conoscenze per vivere meglio".
Robi-no si avvicina ai grandi scaffali con i libri, ne prende uno e incomincia ad accarezzarlo, pensando di riuscire così ad averne la magia.
"Aprilo, leggilo e studialo attentamente, se vuoi impadronirti della magia!"
"Leggere, che cos'è leggere? E studiare?", chiede stupito Robi-no.
"Se andrai a scuola - risponde il papà di Robi-sì - saprai leggere e imparerai a studiare".
"Anche Robi-sì va a scuola?" chiede Robi-no.
"Certo!" risponde Robi-sì, entrando in quel momento nello studio. "Vado a scuola, perché voglio diventare veterinario, così potrò curare e far vivere a lungo i gatti di mia zia Clara, che a me piacciono tanto!"
Robi-no guarda Dolce, che intanto si sta strusciando a lui, e dice, con uno sguardo sognante: "Anch'io!" Poi chiede: "Ma la scuola è divertente?"
"Non sempre", risponde Robi-sì, "spesso è faticosa e noiosa, ma ne val la pena, se vuoi fare dopo quello che più ti piace".

Dopo qualche mese, nel paese di Robi-no aprirono la scuola che gli abitanti del paese di Robi-sì avevano costruito per loro.
Quando la prima campanella suonò, nel paese avvenne una straordinaria magia: le nuvole sparirono e gli abitanti finalmente potevano guardarsi in faccia gli uni con gli altri e cominciare a vivere una nuova vita.

"Roberto, svegliati, o farai tardi a scuola!"
Urla la mamma, spazientita.
"Sììì!" risponde Roby e si alza velocemente. Mentre si stiracchia e scappa a lavarsi, pensa: "Che strano sogno ho fatto!"
"Mamma su, facciamo presto, oggi ho voglia d'imparare tante cose!" Poi aggiunge "Posso andare da zia Clara oggi? Vorrei vedere come stanno i suoi gatti e dir loro di aspettarmi, perché presto sarò il loro veterinario!"