venerdì 23 novembre 2012

Una memoria "bucata"

Ho trovato una lettrice sconosciuta di questo blog e ho subito pensato ad una mia ex alunna. Perciò ho cominciato a frugare nel malmesso database della mia memoria, per cercare quel nome, per collegarlo a qualche viso di adolescente che mi fissava da qualche banco durante le mie ore di lezione. 
Era ovvio che non l'avrei trovato: la mia memoria sui nomi ha sempre fatto cilecca. Ricordo che ogni anno, dopo le vacanze natalizie, dovevo ricominciare daccapo la memorizzazione dei nomi degli alunni delle nuove classi. 
Anche oggi, se mi si dice il nome di un mio ex alunno o, peggio, solo il cognome faccio fatica a ricordarlo. Anzi, dato che avevo l'abitudine di chiamarli solo per nome, a volte ne dimenticavo i cognomi, facendo anche qualche gaffe, quando si discuteva nei consigli di classe.
Non riuscivo proprio ad usare i cognomi. Il nome mi dava di più la dimensione della persona, il cognome me li rendeva quasi dei numeri. 
Nei primi anni d'insegnamento, quando erano pochi gli anni di differenza tra me e i miei alunni, chiamarli per nome era come sentirli degli amici. Ho dei bellissimi ricordi di quegli anni, infatti. Episodi che si sono stampati nella mia mente e ai quali spesso ripenso con affetto. 
Voglio ricordarne adesso solo uno.
Dopo aver terminato un'intensa lezione, con mappe disegnate alla lavagna (all'epoca nella mia scuola non c'era ancora la lavagna luminosa!), poggio il gesso e mi accorgo che in classe c'è un incredibile silenzio e tutti mi guardano con un'aria strana. Sto per esplodere: che diamine, mi sono impegnata al massimo per spiegare bene l'argomento e loro si sono tutti distratti? Ma prima che io possa aprire bocca, uno, Piero, si alza per stringermi la mano e tutta la classe esplode in un applauso. Lì per lì non capisco, penso vogliano prendermi in giro, ma poi ascolto meglio cosa mi dicono: sono entusiasti della mia lezione!

Man mano che la distanza di anni si è allungata ed io sono diventata anche mamma, chiamarli per nome era diventata un'abitudine affettuosa, non erano più quasi-amici, ma quasi-figli.
Ed eccomi lì a raccogliere le loro confidenze, le loro ansie, i loro litigi con i genitori.
Anche i loro nomi però si sono sbiaditi nella mia memoria, tranne qualcuno.
Cassandra, ad esempio. Una ragazza vivace, interessante, un po' snob, come il gruppo d'amici a cui era legata, caratterizzata da un'intensa ricerca di se stessa, di come definire il suo futuro. Ricordo che all'ultimo anno, quando ogni alunno si affanna a capire cosa fare dopo le scuole superiori, mi aveva chiesto se, a mio parere, lei era in grado di affrontare una facoltà umanistica. Le avevo dato la mia opinione, dicendole che la vedevo incline a quel tipo di studi. Qualche giorno dopo venni chiamata in presidenza. Trovai ad aspettarmi i suoi genitori ed il vice, che mi guardava con aria severa e al tempo stesso disgustata. Non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo e pensai subito che forse Cassandra si era cacciata in qualche guaio. Rimasi a parlare da sola con i genitori: la madre si sedette di fronte a me e il padre rimase in piedi, dietro di lei. La ricordo ancora la madre; apparentemente una donna fragile, ma probabilmente con un carattere molto deciso. Mi disse subito: "Mia figlia è venuta in questa scuola per studiare chimica e studierà chimica all'università. Lei non deve farle cambiare idea."
Cercai inutilmente di farle capire che avevo solo espresso la mia opinione, che non era mia intenzione "traviare" la giovane. Il risultato di questo incontro fu che io interruppi il mio rapporto di apertura nei confronti di Cassandra, alla quale non raccontai mai questo episodio. Nei mesi successivi cercai di essere con lei un'insegnante fredda e distaccata e questo non fu per me un bel risultato, ma non potevo rischiare che il suo bel rapporto con me la distogliesse dalle sue aspirazioni.
Oggi vedo le foto di Cassandra, che è tra i miei amici su Facebook, e non mi sembra proprio che abbia studiato chimica!

Ma, ritornando alla mia memoria, anche se i nomi e i cognomi delle centinaia di alunni sono volati via, non ho dimenticato i loro visi!
Anche adesso, quando ne incontro qualcuno, adulto, con figli e magari anche qualche capello bianco, ritrovo nella sua espressione, nei suoi occhi, nella sua voce, nei suoi gesti, quel ragazzo che era davanti a me per tanti giorni e tante ore, mi ricordo di ciò che faceva, del suo modo di stare a scuola. Ecco, é solo allora che la mia memoria funziona, e bene anche.

Qualche giorno fa son passata vicino ad una scuola: le finestre erano aperte e si sentiva il vociare degli alunni quando in classe sono "orfani" dell'insegnante; mi è venuto un groppo alla gola e qualche lacrima è scappata, senza che riuscissi a fermarla.

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